Le truppe tedesche, entrate in territorio parmense e superato l’abitato di Montechiarugolo, si diressero verso nord in quella che sempre più appariva come una disordinata fuga verso il Po, luogo, immaginato, di salvezza. Ai soldati mancavano poche decine di chilometri per arrivare a destinazione, un giorno di viaggio, che per le comunità contadine, investite dalla violenza e dalla crudeltà dei militari, rappresentò un ultimo giorno di terrore.
I militari, durante questo spostamento commisero stragi ed eccidi, seminarono distruzione nei numerosi villaggi e paesi che attraversarono, confermando di avere ormai interiorizzato quella mentalità stragista imposta dai comandi della Wehrmacht e applicata in tante altre occasioni durante i lunghi mesi di occupazione. Una tattica divenuta prassi che li avrebbe accompagnati fino al termine della loro esperienza di soldati, fino al momento di abbandonare la divisa, quella divisa che sembrava poter giustificare ogni loro azione.
Dopo aver oltrepassato il territorio comunale di Montechiarugolo e dopo aver fatto fronte a sporadici isolati attacchi da parte di reparti partigiani – che poterono solo rallentare la marcia verso nord – in poco tempo la colonna dei militari attraversò le località di Marore, Malandriano e Alberi di Vigatto, dove si verificò un primo eccidio.
Le truppe tedesche, poi, attraversata la via Emilia, si sparsero nelle campagne disseminando morte e terrore in numerose frazioni e case isolate. Nel pomeriggio del 24 aprile, un reparto giunse nella frazione di Casaltone. La rappresaglia tedesca fu feroce. L’ira dei militari si abbatté sugli abitanti e sulle case dei borghi ed il primo gruppo di case ad essere colpito fu il “Piave” situato a ridosso del ponte sull’Enza. Al termine della rappresaglia si contarono 21 morti, mentre un centinaio di abitanti vennero catturati ed utilizzati come scudo umano durante il perseguimento del viaggio verso il Po.
Altre comunità trascorsero l’ultimo giorno di guerra fra eccidi e saccheggi, tra cui i centri abitati di Ravadese, Case Vecchie, Borghetto, Pizzolese. Le testimonianze raccolte, dopo la fine della guerra, raccontano della violenza che colpì quei borghi e della crudeltà dei militari tedeschi ormai sconfitti: donne e bambini inseguiti e uccisi senza pietà e con crudele freddezza, bombe a mano lanciate a casaccio nelle case, contadini colpiti senza ragione, uccisi nelle loro abitazioni, nei campi e nelle stalle mentre lavoravano, percossi con pugni e con i calci dei fucili. Una quantità di violenza mai vista da quelle parti che lasciò sul terreno 31 morti, tantissimi feriti e molte case distrutte.
Sul finire del 25 aprile, in questa sorta di interludio tra occupazione e liberazione, tra guerra e pace, la popolazione si trovò, dunque, in balia degli eventi e della sorte. La presenza di partigiani (sappisti) e di nuclei di insorti volenterosi spesso finì per complicare ulteriormente la situazione nei territori attraversati dalle truppe tedesche. Una parte consistente dei militari tedeschi che aveva invaso la pianura parmense, consapevole che i ponti sul Po nella zona orientale erano impraticabili, si diressero verso ovest sapendo che avrebbero dovuto attraversare centri abitati e che si sarebbero esposti a possibili attacchi partigiani e al mitragliamento degli aerei alleati. Decisero però di continuare utilizzando i civili come scudo. L’irriducibilità dei militari tedeschi finì quindi per provocare ulteriori lutti nei territori d’oltre Taro: a Sissa, Soragna, San Secondo, Roccabianca. Al termine dell’ultima giornata di guerra, i militari tedeschi avevano ucciso almeno 67 persone.
Monumenti e lapidi, voluti nel corso degli anni dai comuni, oggi ricordano le vittime di quelle stragi e il dolore delle loro comunità violate dalla violenza dei militari. Queste tracce di memoria sparse sul territorio ridisegnano il percorso che i soldati tedeschi fecero durante il loro arretramento. Ogni anno, mentre il resto della Provincia celebra il giorno della Liberazione, gli abitanti delle frazioni ricordano gli eventi di quei giorni, raccolti attorno ai propri monumenti, in molti casi posti tra le case e nei giardini delle abitazioni, che rappresentano ed esprimono il legame di intimità che collega la memoria di quegli ultimi giorni.