Stragi dell'ultimo giorno

1945.04.25 Pizzolese

“Caso quanto mai pietoso quello della famiglia Pomelli di Ravadese, che deve all’atrocità tedesca la perdita di quattro dei suoi membri. Una bambina di dieci anni, una ragazza di sedici anni ed un ragazzo di tredici, mentre col loro congiunto Bonazzi fuggivano dalla casa dei loro genitori nella quale erano entrati i tedeschi, venivano raggiunti e uccisi da raffiche di mitragliatrici”.

 

Vittorio Barbieri, “La popolazione civile di Parma nella guerra ’40-‘45”, Associazione nazionale vittime civili di guerra, sezione di Parma, Parma 1975, pag.112

 

“Il 25 aprile 1945 avevo cinque anni, ma lo ricordo ancora forse perché l’ho descritto e rivissuto tante volte nel coso degli anni, insieme a mia madre, che era allora l’unica persona presente della mia famiglia. La sera precedente ci eravamo coricate e addormentate alla solita ora, ma ben presto la mamma fu svegliata da un insolito brusio ininterrotto che proveniva dalla strada. Stette un pò ad ascoltare poi si avvicinò al buio agli scuri e li scostò appena: dalla fessura vide la strada brulicare di mezzi corazzati, di soldati, di cavalli, di autoveicoli, che capì essere una colonna americana perché sapeva che delle truppe erano poco lontane. Preoccupata, mi prese in braccio e andò a bussare alla porta di un’altra famiglia, dove già erano tutti svegli e allarmati.

In quel periodo gli abitanti della casa erano molto aumentati; infatti, oltre a quelli soliti -la famiglia dei padroni meno un figlio che era in guerra- la famiglia degli spesati e quella del casante -meno il capofamiglia che era in guerra-, c’erano gli “sfollati”, quelli cioè scappati dalla città a causa dei bombardamenti (…).

Torniamo però a quella notte, quando tutti gli abitanti della casa si riunirono insieme e aspettarono che facesse giorno un po’ dormicchiando, un po’ parlando a bassa voce e ascoltando i rumori. Verso l’alba, non si sentiva più un brusio ma un vociare forte e confuso, molto vicino; allora si aprì la porta sotto il portico e apparve ai miei occhi di bambina uno spettacolo spaventoso: il portico e il cortile erano pieni di soldati giganteschi e minacciosi che si agitavano ed urlavano in una lingua dura e sconosciuta; il vaccaro stava porgendo ad alcuni un secchio di latte, tremando e gocciolando dal naso. Sparsi ovunque o spinti nelle stalle, apparivano dei cavalli enormi; la confusione di uomini, animali, rumori era spaventosa. Mia madre, tenendomi in braccio, per togliersi da quel posto, insieme ad alcuni altri si diresse dalla parte opposta verso i campi rivolti a nord, che apparivano sgombri; ma dopo alcuni passi si accorse che eravamo letteralmente in mezzo alle pallottole che fischiavano da destra e da sinistra. Allora fece dietrofront, rientrò nel cortile e a fatica passò in mezzo a saldati, animali, carri, guadagnando la carraia che attraverso i campi portava ad un’altra fattoria, al confine sud del podere. Immagino la corsa affannosa di mia madre e degli altri che l’accompagnavano, mentre io ricordo un soldato tedesco, appoggiato al suo mortaio, fermo sotto un albero che, guardandomi con una specie di sorriso, disse:” Avere paura bambina?”

All’improvviso si sentì una “cicogna” (così chiamavamo gli aerei di ricognizione) e ci nascondemmo precipitosamente in un fosso. Non so quanto rimanemmo lì e in quanti eravamo; certamente c’era un’altra giovane figlia con la madre, perché notai che anche lei, come me, era completamente sepolta sotto il corpo materno. Quando finalmente riprendemmo il cammino, fummo ben presto spaventati di nuovo da uno stormo di aerei in picchiata, che ci costrinse a ricacciarci in un fosso, naturalmente i bambini sotto gli adulti.

Come Dio volle, arrivammo alla casa dei vicini, dove trovammo una gran pace -è il caso di dirlo- , i quali ci accolsero affettuosamente ma con stupore, finché non gli avemmo raccontato l’accaduto. Intanto arrivavano attraverso i campi altri fuggiaschi: in particolare ricordo una coppia di coniugi che abitavano a pochi metri da casa nostra, i quali avevano le ginocchia scorticate e sanguinanti per essersi trascinati nel letto di un fosso arido e secco. Erano molto turbati perché avevano perso di vista i loro figli che speravano di trovare lì, ma siccome non c’erano decisero di tornare indietro nonostante le ferite e il pericolo. Nella tarda mattinata cominciarono ad arrivare anche lì soldati tedeschi, ma se ne ripartivano subito velocemente dopo aver chiesto da bere e del pane, che proprio quella mattina le donne stavano cuocendo per la settimana seguente. Noi fuggiaschi eravamo stati sistemati in cantina dove ogni tanto giungevano notizie dell’evolversi della situazione, finché verso sera fra grida di entusiasmo ci fu annunciato l’arrivo degli americani. Non sapevo bene cosa significasse, ma uscendo all’aperto vidi altri soldati, anche questi grandi, ma allegri e sorridenti, alcuni neri, che facevano regali, specialmente cioccolata, e poi se ne andavano su enormi carri armati che sparivano alla vista velocemente in mezzo ai campi.

Passammo finalmente una notte tranquilla ed il mattino dopo tornammo alla spicciolata a casa nostra. Qui trovammo uno scenario terribile: il cortile era invaso da cavalli morti, suppellettili di ogni genere, resti di munizioni e armamenti; le nostre due stanze erano aperte e nel massimo disordine, i cassetti svuotati erano sparsi ovunque… Ma il peggio fu quello che mi mamma venne a sapere da quelli rimasti a casa. I nostri vicini che cercavano i loro figli dove eravamo noi, li avevano trovati in seguito in mezzo ai campi uccisi dalle pallottole: due figli adolescenti, un nipote di undici anni e un fratello di lei di trentotto anni, quattro della stessa famiglia. Ma sembrava che in paese ci fossero altri morti.

Mia madre, angosciata e preoccupata per la sorte dei suoi famigliari, pensò di andare da loro dall’altra parte del paese e così ci avviammo per la strada che era nelle stesse condizioni del cortile. Quando arrivammo in centro, alcune persone che erano fuori, consigliarono a mia madre di togliersi dalla strada che poteva essere pericolosa e di proseguire attraverso i campi. Mai consiglio fu più sconsiderato! Sotto l’erba si nascondevano un’infinità di armi e di bombe inesplose, che per lunghi anni in seguito avrebbero provocato diverse vittime innocenti.

Ma a noi quella volta andò bene e riuscimmo ad arrivare incolumi a casa della nonna, che trovammo chiusa. Allora mia mamma cominciò a chiamare disperatamente, temendo il peggio. Finalmente si aprì il portone della scuola che era adiacente alla casa e ne vedemmo uscire la nonna, gli zii, i cuginetti e una lunga fila di persone che evidentemente si erano rifugiate lì per trovare riparo e conforto gli uni con gli altri in quei terribili giorni.

I nostri parenti erano tutti salvi, ma la mamma apprese quanti nostri compaesani avevano perso la vita il giorno prima, il 25 aprile: in una popolazione di 500 abitanti circa, furono 21 le vittime civili, fra cui donne e bambini.

Ero abbastanza piccola per non capire quanto era tragico quel momento; ma nel corso degli anni potei approfondirne la conoscenza, soprattutto in ogni anniversario di quel giorno, quando tutta la popolazione partecipava alla commemorazione delle vittime, che erano state tumulate tutte nella stessa cappella al cimitero”.

Brano tratto da Mara Poli, “Storia minima” (testo inedito)

Data: 25/04/1945

Comune: Parma

Località:Pizzolese

Autore/i: militari tedeschi

Vittime: 8 civili

Descrizione: Gino Bonazzi (43 anni), Pierina Pomelli (16 anni), Mirco Pomelli (14 anni), Germano Pomelli (10 anni), Ferdinando Gatti (38 anni), Valerio Salati ( 19 anni), Alberto Talignani (63 anni), Alide Cocconi (41 anni)

Lapide/monumento: monumento in marmo e pietra posto in località Pizzolese

Riferimenti bibliografici / archivistici: Vittorio Barbieri, “La popolazione civile di Parma nella guerra ’40-‘45”, Associazione nazionale vittime civili di guerra, sezione di Parma, Parma 1975

Primi eccidi
Stragi dell'ultimo giorno